“Padrenostro” è un romanzo che colpisce per la sua intensità emotiva e per il modo in cui racconta il peso che una religione imposta può avere su chi cresce sotto il suo dominio. La protagonista è Elisa Caiazzo, una ragazza di vent’anni che vive a Napoli in una famiglia dove la fede non è una libera scelta, ma una regola ferrea che invade ogni aspetto della vita quotidiana.
Nella famiglia Caiazzo, la religione non consola, non unisce: viene usata come un’arma. Il padre è una figura autoritaria, che usa la fede per giustificare punizioni e abusi, per generare paura e senso di colpa. Dunque la casa somiglia più a una setta che a una famiglia. Accanto a lui c’è la madre, che invece di proteggere i figli, rafforza questa stessa oppressione, forse per paura, forse perché non conosce altro.
Elisa cerca di sopravvivere in questo contesto rigido e chiuso; vuole essere “normale”, ma non le è concesso. Dentro di lei, però, qualcosa resiste; quel qualcosa prende forma nell’amicizia con Fortuna, una ragazza piena di vita, che incarna tutto ciò che a Elisa è stato negato: spontaneità, leggerezza, libertà. Il loro viaggio a Procida non è solo una fuga fisica, ma un momento cruciale in cui Elisa comincia a guardare se stessa con occhi nuovi. Capisce che la libertà non si conquista solo andando via, ma spezzando i legami emotivi che la tengono ancorata a un mondo che non le appartiene più.
“Padrenostro” è un romanzo che fa riflettere su quanto sia sottile il confine tra fede e fanatismo, tra educazione e manipolazione. Sabrina Efionayi ci racconta una storia dura ma necessaria, dando voce a chi spesso non viene ascoltato: chi è cresciuto nella paura e nel senso di colpa. È un libro che non dà soluzioni facili, ma che ci ricorda che la vera fede — quella che libera, non che imprigiona — può nascere solo quando si smette di aver paura.