Libernauta

INTERVENTI 55 Ora d’aria Paola Nobili insegnante C ’era una volta il carcere di Sollicciano – e c’è tuttora. All’interno del complesso penitenziario fiorentino c’erano le sezioni di Alta sorveglianza – ora non più. E in queste c’erano i Cattivi, anzi i Molto Cattivi. Solo un esercito di sognatori poteva irrompere in quelle stanze di cemento e tentare di aprire, proprio lì, nel clangore delle porte blindate, uno spazio di realtà aumentata. Non era cosa facile. Si doveva camminare per lunghi corridoi, varcare cancelli, percorrere con gli occhi muri grigi o con affreschi tristi (pitture disperate, colori sparsi sulla sofferenza che impregna le pareti. “Se provassi per un solo istante l’intensità del dolore emanato dal luogo ne sarei incenerito, distrutto”, ha scritto Albinati in Maggio selvaggio ). Un piede dopo l’altro per andare nell’aula di ferro, dove i detenuti aspettavano. Per un recluso, la carcerazione non è soltanto una condizione materiale; è anche uno status della mente, un fattore di condizio- namento pervasivo che intrappola i pensieri, obbligandoli a girare su se stessi e a scavare nel solco ossessivo delle questioni giudiziarie, di processi celebrati o rinviati, avvocati, domandine, educatori assenti, articoli del Codice penale, magistrati. Come se la sentenza di condanna possa infliggere una pena aggiuntiva, at- traverso una specie di colonizzazione cerebrale: in carcere penserai al carcere e parlerai di carcere, così sia. Ma un detenuto sogna la libertà. La vede appena fuori dalla cella, nei volteggi degli storni o nei movimenti di una gru, la sente nei rumori della città.

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